Giovanni Antonio Battarra

Nacque a Rimini il 9 giugno 1714 da Domenico e da Giovanna Francesca Fabbri. Dopo aver compiuto il corso di umanità nel locale seminario, ove ebbe a maestri Giovan Paolo Bufferli e Anton Maria Brunori, seguì quello di scienze sacre per ottenere lo stato sacerdotale, cui forse lo spingevano, più che la vocazione, le disagiate condizioni economiche.

Ordinato sacerdote nel 1738, continuò tuttavia a frequentare le lezioni del famoso medico, naturalista e archeologo Giovanni Bianchi (Ianus Plancus), che lo indirizzò agli studi di geometria, di fisica e di storia naturale. In essi fece così grandi e rapidi progressi che già nel 1741 ottenne la cattedra di filosofia nel seminario di Savignano di Romagna, ove rimase quattro anni. L'anno seguente pubblicò in Miscellanea di varie operette (VI, Venezia 1742, pp. 61 ss.) il primo lavoro scientifico, Lettera al Conte G. Garampi intorno due aurore boreali (dell'8 e 9 ott. 1741), che ricevette ottima accoglienza per l'esatta descrizione del fenomeno. Nel 1748 gli venne affidata la cattedra di filosofia (fondata a Rimini nel 1687) e la tenne fino al 1754. Veniva intanto preparando l'opera sua maggiore, Fungorum agri Ariminensis historia, Faventiae 1755, ristampata poi senza variazioni, salvo che nella dedica, nel 1759 sempre a Faenza. 

In essa, dopo brevi notizie sulla letteratura micologica edita e inedita, si combatte l'opinione allora corrente, malgrado gli studi del Micheli, del Mazzoli e del Gleditsch, della generazione spontanea dei funghi dalla putredine o dal "guasto sugo nutritivo" delle piante, provandone la riproduzione "per semenza"; seguono alcune notizie d'interesse pratico, sul modo di distinguere i funghi velenosi, sul modo di cucinare i mangerecci, che tuttavia, secondo il B., sono sempre poco giovevoli alla salute, sulle loro qualità terapeutiche; conclude l'opera la descrizione di circa trecento funghi, divisi in diciotto classi. Il criterio distintivo delle singole classi è dato dall'aspetto esterno, che sembrava al B. più sicuro e più pratico di quello desunto "ex diversa singulorum fructificatione" usato dal Gleditsch nel Methodus Fungorum (Berlin 1753), cui il B. in una nota in fine di volume non manca di muovere vari appunti. L'opera, che è corredata da quaranta tavole incise dallo stesso B. riproducenti tutti i funghi descritti, gli assicurò ottima fama tra i dotti, tanto che il Persoon nella sua Synopsis methodica fungorum chiamò in suo onore Batarrea una specie di funghi descritta la prima volta dallo Humphrey, ora conosciuta col nome di Batarrea Persoon.

Nel 1757 il B. fu nominato professore di filosofia del Comune e nel 1760 del seminario. Nel 1759 dedicò una lettera a G. M. Mazzuchelli in cui dava notizie accurate sui ritrovamenti di materiale antico in alcuni avelli riminesi (Lettera sull'apertura degli avelli che sono dentro e fuori della Chiesa di Francesco di Rimino spettanti alla famiglia dei Malatesti, in Raccolta milanese, II[1757]. Nel 1762, inaugurando l'anno scolastico del seminario, pronunciò un Discorso per l'apertura della cattedra di filosofia, pubblicato l'anno successivo a Cesena, del quale non mancano idee nuove esposte con molta spregiudicatezza.

Vi si sostiene fra l'altro che nel seminario bisogna educare non al sacerdozio, che è vocazione per grazia, ma alla vita civile e alla scienza; che è sempre meglio "un cavaliere istruito" che un prete ignorante; che l'insegnamento della filosofia naturale deve sempre precedere quello delle scienze sacre. L'operetta è caratteristica nella produzione del B., perché più chiaramente delle altre ci mostra quanto egli, assai fiducioso nel proprio ingegno, fosse restio ad acquietarsi nella scienza altrui e come tutto fondasse sulle proprie esperienze e sulle proprie induzioni: "semper mihi cura fuit - diceva - ut non quod alii scirent neque quod alii excogitarent, sed quod ipse novi et excogitavi, illud typis committerem".

Con tale massima si occupò degli argomenti più svariati, certo di poter dire cose nuove ed assennate. Così nello stesso anno pubblicò Due discorsi sopra la fabbrica del porto di Rimini (in Nuova raccolta di opuscoli scientifici e filologici, X, Venezia 1763, pp. 456-516) e nel 1766 una Lettera al p. D. Angelo Calogerà intorno ad alcune esperienze spettanti l'idrostatica (ibid., XIV, pp. 79-88), nella quale si vorrebbe dimostrare che l'acqua per tubi curvi scorre più veloce che per tubi diritti, contro la legge specifica del Torricelli (che non è nemmeno citato) e le risultanze stesse dell'esperienza, non compiutamente considerate. Ma il B. era talmente convinto della giustezza delle proprie conclusioni che le ripropose sia negli Acta Eruditorum Lipsiae del 1768 (pp. 193-198), sia negli Atti dell'Accademia dei Fisiocratici di Siena (III, 1777, pp. 84-95).

Nel 1773 intraprese una nuova edizione del Musaeum Kircherianum edito da F. Bonanni nel 1709, riordinando altrimenti la materia quanto mai farraginosa dell'opera, aggiungendo lunghe note e nuove illustrazioni, nell'intenzione di offrire agli studenti un corso elementare di storia naturale. Mancò tuttavia completamente allo scopo, non essendo possibile dare un ordine qualsiasi all'inventario di disparati oggetti compilato dal Bonanni. L'opera, che uscì col lunghissimo titolo Rerum naturalium historia, nempe quadrupedum insectorum piscium variorumque marinorum corporum fossilium plantarum exoticarum ac praesertim testaceorum exsistentium in Musaeo Kircheriano, Romae 1773-82, ebbe pessima accoglienza fin dal suo primo apparire, benché patrocinata dal Bianchi, da G. C. Amaduzzi e da G. Garampi.

Più sistematica è la parte riguardante i Testacea, cioè le conchiglie, nella quale però il B. adotta il metodo ormai antiquato di N. Gualtieri, preferendolo a quello di Linneo, forse solo perché italiano. Nell'appendice al II volume, oltre ad altri lavori di minor conto e al De restitutione purpurarum di P. Amati, pubblicò un Commentarium de Plinii ictero.In esso, dopo aver identificato sulle tracce del Buffon l'icterus di Plinio (Naturalis Historia, 30, II, 28)con l'odierno oriolus galbula, sostiene che oltre alla specie già descritta, e non bene, a suo giudizio, dal Buffon, se ne possono distinguere almeno altre due, sia in base al colore delle piume, sia in base all'anatomia interna.

Egualmente censurata fu l'Epistola selectas de re naturali observationes complectens, Rimini 1774, nella quale, sempre seguendo il criterio di esporre solo quanto personalmente gli risultasse, pubblicò alcune osservazioni zoologiche, dando come nuove scoperte nozioni già acquisite. Nel 1778 pubblicò a Roma la Pratica agraria distribuita in vari dialoghi, che aveva già visto la luce nel Diario del Riccomanni del 1776.

L'operetta, che è una raccolta di consigli pratici per i possidenti e per i fattori, è specialmente pregevole per la chiarezza e semplicità della esposizione. Ed ebbe tale accoglienza che già nel 1782 il B. ne procurò una ristampa a Cesena, nella quale i Dialoghi sono preceduti da una prefazione Sui difetti dell'agricoltura nell'agro riminese e seguiti da un Avvertimento ai signori Regolatori del ben pubblico in ordine all'agricoltura.Così accresciuta, la Pratica ebbe poi due altre ristampe, Faenza 1798 e Rimini 1854.Nell'ultimo dialogo, il XXX, Delle costumanze, vane osservanze e superstizioni de' contadini romagnoli, il B. con spigliatezza e vivacità di stile tratta delle nozze, dei battesimi e delle cerimonie funebri dei contadini della sua terra, offrendoci un chiaro documento dei costumi rurali degli ultimi decenni del Settecento ed insieme il primo saggio di scienza folcloristica italiana. Per questa sua importanza negli studi delle tradizioni popolari l'opera fu edita più volte, da G. Gaspare Bagli, in Arch. per lo studio delle tradizioni popolari, VI(1887), pp. 105 ss; sulla rivista La Piè, IV (1923), nn. 1-3, e da P. Toschi, in Romagna tradizionale, Bologna 1952, pp. 1 ss.

L'ultima opera del B. sono i Naturalis historiae elementa, Rimini 1789, di cui uscì solo il I volume, nel quale si tratta in maniera assai superficiale dei fossili e delle piante. Altri scritti inediti si conservano nella Biblioteca Gambalunga di Rimini e nella Oliveriana di Pesaro.

Il B. morì a Rimini l'8 nov. 1789.

Fonti e Bibl.: Memorie per servire alla storia letteraria, VI, Venezia 1755, pp. 43-45; Rimini, Bibl. Gambalunga, Fondo M. Rosa, G. A. Battarra, Autobiografia (autografo); Nova Acta Eruditorum, Lipsiae 1757, pp. 201-208; Storia letter. d'Italia, XII, Modena 1758, p. 143; C. Battarra, Lettera ad un amico, in Nuova racc. di opuscoli scient. e filol., XXIX, 10, Venezia 1776; G. Buffon, Storia naturale degli uccelli, V, Venezia 1782, p. 285; L. Spallanzani, Epistolario, III, Firenze 1959, pp. 20, 24, 55, 91, 137, 417; C. H. Persoon, Synopsis methodica fungorum, I, Göttingen 1801, pp. 129-130; G. Brocchi, Conchiologia fossile subappennina, Milano 1814, p. LVIII; M. Rosa, Biografia di G. A. B., in A. Hercolani, Biografie e ritratti di XXIV uomini illustri romagnoli, III, Forlì 1834, pp. 97-98; C. Tonini, La coltura letter. e scient. in Rimini..., II, Rimini 1884, pp. 582-592; P. Savi, Ornitologia ital., I, Firenze 1900, p. 356; A. Tosi, Notizie biografiche dell'abate G. A. B., Faenza 1933; G. Gasperoni, Settecento italiano, I, L'abate G. C. Amaduzzi, Padova 1941, pp. 217, 244; G. Cocchiara, Storia degli studi delle tradizioni popolari in Italia, Palermo 1947, p. 59; F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello stato pontificio del Settecento, in Riv. stor. italiana, LXXV (1963), pp. 799 s.; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, II, pp. 159, 161, 165; XXXIII, p. 137.







 Giacomo Bresadola

Giacomo Bresadola nacque il 14 febbr. 1847, a Ortisè (Trento), da Simone e Domenica Bresadola. Frequentò le scuole tecniche a Rovereto perché il padre voleva avviarlo agli studi d'ingegneria, ma dopo quattro anni passò al seminario di Trento. Ordinato sacerdote, iniziò il suo ministero a Pinè, poi a Roncegno, a Malè e finalmente nel 1878 a Magras, dove rimase cinque anni. Nel 1884 il B. venne nominato amministratore presso l' ordinariato del vescovo di Trento, e nel 1887 amministratore del capitolo della cattedrale di Trento. Nel 1910, all'età di 62 anni, si ritirò dalla vita ecclesiastica con una modesta pensione per dedicarsi totalmente ai suoi studi micologici. Per la fama raggiunta in questi studi, nel 1927 venne nominato canonico onorario della cattedrale di Trento. Morì a Trento il 9 giugno 1929.

I primi segni di inclinazione per le scienze naturali, e la scienza delle piante in particolare, si manifestarono già mentre era studente a Rovereto, ma si rivelarono più apertamente quando a Baselga di Pinè trasformò in un piccolo orto botanico il giardinetto del presbiterio; a Roncegno già possedeva un copioso erbario di piante fanerogame. Aveva contratto rapporti con A. Ambrosi, Direttore e bibliotecario del Museo civico di storia naturale di Trento, che lo guidò e lo esortò a dedicarsi alle piante crittogamiche indirizzandolo al biologo G. Venturi. Era quello un periodo aureo per le scienze naturali nella regione Trentina pur così ricca di tradizioni naturalistiche: vi fiorivano G. Canestrini, E. Gelmi, G. B. Sardagna, i fratelli A. e D. Perini, G. B. Adami, oltre ai già ricordati Ambrosi e Venturi.

Il B. cominciò a dedicarsi ai Licheni e ai Muschi, ma ben presto si volse al mondo dei Funghi. Qualche primo lavoro mal riuscito, perché basato su testi imprecisi, lo spinse a una più profonda informazione critica.

Iniziò, tra l'altro, una intensa e proficua corrispondenza con L. Quélet, che fu il suo primo vero maestro di scienza micologica. Nel 1880 era già in comunicazione con studiosi nordamericani: J. B. Ellis, Ch. H. Peck, C. G. Lloyd. A 34 anni, nel 1881, poteva già essere annoverato fra i più autorevoli conoscitori di Funghi, e lo dimostrava brillantemente con la pubblicazione dei Fungi Tridentini novi. Si rivelava quell'acuta penetrazione critica che doveva diventare il carattere più saliente della sua opera scientifica: non si contentava di raffrontare le descrizioni dei diversi autori classici, voleva riesaminare i materiali originari custoditi nei musei d'Europa. Crebbe talmente il suo credito negli ambienti scientifici, che senza esitazione gli venivano inviate in esame le più preziose collezioni di Londra, di Parigi, di Uppsala, di Kew, di Liegi, così che il B., pur non muovendosi da Trento, poteva accentrare una quantità enorme di revisioni su materiali di tutto il mondo. Ma gli intensi scambi di corrispondenza e di materiale comportavano una spesa tale che il B. poteva affrontare solo vendendo il frutto dei suoi studi: così le sue più vaste collezioni micologiche sono migrate verso i grandi musei naturalistici di Stoccolma e Washington e altre minori sono disseminate a Uppsala, a Leida, a Parigi e altrove. E mentre da ogni parte del mando affluivano studiosi a chiedergli consiglio e aiuto, il B. era a malapena conosciuto in una ristrettissima cerchia naturalistica nel nostro paese.

Nel 1916 usciva un'opera ancora più significativa della maturità di scienziato del B.: i Synonimia et adnotanda mycologica, seguite nel 1920 e nel 1926 dai Selecta mycologica. Sono lavori che emergono fra molti altri contributi di insigne valore, perché lo pongono fra gli innovatori della micologia, assicurandogli solida fama. Dirà di lui il Gilbert, proprio riferendosi a questo momento culminante della sua ricerca, che, "uno dei primi, si rese conto dell'importanza dei caratteri anatomici dei funghi", proponendo come necessario fondamento a una più rigorosa scienza micologica un grande numero di nuovi caratteri diagnostici. Non era il B. un cercatore e costruttore di specie nuove, cercava invece piuttosto di eliminare e collocare in sinonimia le troppo numerose specie descritte con eccessiva facilità e improvvisazione; si calcola che abbia eliminato in tal modo oltre ottocento specie non valide. E pur tuttavia descrisse ben millediciassette specie nuove per la scienza e ben quindici generi nuovi; si tratta in prevalenza di macromiceti, ma anche di un numero abbastanza rilevante di micromiceti. La scienza micologica, che era fondata su due grandi epigoni - R. E. Fries e C. H. Persoon -, trovava nell'opera del B. un potenziamento di severa solidità critica, un incremento vastissimo di conoscenze.

All'altezza critica, alla instancabile energia di indagine, alla severa metodicità del lavoro il B. univa attitudini iconografiche di notevole finezza ed efficacia. Ne aveva dato prova già nei Fungi Tridentini novi vel nondum delineati, e più tardi nella preziosa opera divulgativa sui Funghi mangerecci e velenosi dell'Europa media. Ma le tavole che illustrano questi e altri lavori sono soltanto una minuscola parte della grande opera iconografica del B., che si andava man mano accumulando inedita fino a raggiungere la mole di un migliaio di tavole a colori, frutto di cinquanta anni di ricerca e di documentazione. Essa era ben nota all'estero da tempo: nel 1925 alcuni editori stranieri tentarono di impadronirsene, e vi sarebbero riusciti se alcuni studiosi italiani, come G. B. Traverso e L. Fenaroli, con l'aiuto del mecenate M. De Marchi e del Museo tridentino di storia naturale, non avessero costituito un comitato organizzatore per la pubblicazione di una Iconographia Mycologica bresadoliana. Furono raccolte sottoscrizioni numerose in tutto il mondo, e, insieme con contributi in denaro, giunsero anche le testimonianze dell'altissimo livello di stima cui era giunta l'opera del modesto abate trentino; i testi più significativi sono raccolti nella pubblicazione celebrativa curata in tale occasione da G. Catoni. Il Lloyd, micologo statunitense, lo chiama "the most learned in the world"; "tutti i micologi sistematici moderni - soggiunse René Maire - sono poco o molto. direttamente o indirettamente, allievi di Bresadola"; anche M. Kaufmann, dell'università del Michigan, s'inchina a "questo modesto sacerdote, che i colleghi statunitensi considerano come il loro maestro". Molti allievi del B. divennero poi assai noti per le loro opere scientifiche: R. Naveau di Anversa, C. Torrend di Bahia, S. Killermann di Ratisbona, V. Peglion di Roma, K. Starback di Stoccolma, Llyod di Cincinnati, e molti altri. La pubblicazione dell'Iconographia Mycologica, curata assiduamente da G. B. Traverso, L. Fenaroli e G. B. Trener, richiese molti anni; il B. riuscì a vedere prima di morire i primi dodici volumi. Nel 1941 l'Opera era completa, in ventisei volumi; E. J. Gilbert aggiungeva nel 1941 un ventisettesimo volume di supplemento sulle Amanitacee; A. Ceruti nel 1960 un ventottesimo volume dedicato alle Tuberali.

L'università di Padova consegnò al B., per le mani del prof. G. Gola, il giorno dell'ottantesimo compleanno la laurea honoris causa in scienze naturali; l'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei lo volle annoverare fra i suoi soci; Rovereto gli conferì la cittadinanza onoraria. Ma già lo avevano nominato socio onorario la Società micologica britannica, la Deutsche Gesellschaft für Pilzkunde e numerose altre società scientifiche ed accademie italiane e straniere. La Società micologica di Francia lo annoverava fra i suoi fondatori. Continuò fino alla morte con inalterata dedizione le sue ricerche.

Nel 1930 si inaugurava un busto al Museo tridentino di storia naturale; nel 1954 gli veniva dedicato un altro busto nel Famedio di Trento accanto a quelli del Battisti e del Canestrini; altri busti lo effigiarono nella piazza Dante di Trento e nella nativa Ortisè.

Nel 1955 prendeva il nome di Cima Bresadola una vetta per la prima volta raggiunta nel gruppo Adamello-Presanella. Un gruppo micologico "Don Bresadolas" e un comitato bresadoliano opera tutt'oggi nel suo nome alla continuazione e propagazione delle scienze micologiche.

Tra le opere del B. ricordiamo: Fungi Tridentini novi vel nondum delineati,descripti et iconibus illustrati, I-II, Trento 1881-1900; Funghi mangerecci e velenosi dell'Europa media con speciale riguardo a quelli che crescono nel Trentino, Trento 1898; 2 ed., ibid. 1906; 3 ed., ibid. 1952; 4 ed., ibid. 1954; 5 ed., ibid. 1965; Synonimia et adnotanda Mycologica, in Ann. micologici, XIV (1920); Selecta Mycologica, I, in Ann. Mycolog., XVIII (1920), 1-3; II, in Rivista della Società di studi trentini, Trento 1926; Società italiana botan. e Museo Civico di storia naturale di Trento, Curantibus, J. B. Traverso, L. Fenaroli, I. Trener, J. Catoni, Iconographia Mycologica, I-XXVI, Mediolani 1917-46; Suppl. I di E. J. Gilbert, Amanitaceae, ibid. 1941; Suppl. II di A. Ceruti, Elaphomycetales et Tuberales, ibid. 1960; I funghi mangerecci e velenosi dell'Europa media, Trento 1899; 2 ed., ibid. 1906; 3 ed., ibid. 1932; 4 ed., ibid. 1954; 5 ed., ibid. 1965.

Bibl.: F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1894, pp. 222 s.; P. A. Saccardo, La botanica italiana, Venezia 1895, p. 37; C. G. Lloyd, L'abbé G. B., in Mycological notes (Cincinnati), XXXV (1910), pp. 462 s.; R. Pampanini, Erbari del Museo di Trento, in Bull. d. Soc. bot. ital. (1926), p. 105; L. Fenaroli, Glorie d'Italia. L'abate G. B. e la sua opera micologica, in Le vie d'Italia, XXXIII (1927), pp. 1012-1020; P. Berretta Anguissola, A colloquio con l'abate B., in Vita nostra, VII (1927), pp. XX-XXX; G. Catoni, L'abate G. B. per l'80º compleanno 1847-1927, Trento 1927; C. Savini, B.'s Iconographia Mycologica, in Micologia, XIX (1927), pp. 320 s.; A. Canestrini, L'abate G. B., in Annuario d. R. Ist. tecn. di Rovereto, IX (1928), p. 7; L. Fenaroli, L'abate G. B., in Zeitschrift für Pilzkunde, n.s., VII (1928), pp. 33-38; S. Killermann, Abate Dr. G. B.,ibid., VIII (1929), pp. 82 ss.; L. Ramsbotton, G. B. (1847-1929), in Journal Of Botany, LXVII (1929), pp. 235 s.; G. B. Traverso, L'abate G. B. e la sua opera micologica, in Atti d. Soc. ital. d. sc. nat., LXVIII (1929), pp. XXI s.; L. Bonomi, Naturalisti... trentini Trento 1930, pp. 19 s.; F. Napoli, L'abate G. B. (1847-1929), estr. da Atti d. Pontif. Accad. d. sc. d. Nuovi Lincei, Roma 1930; R. Heim, L'æuvre de G. B., in Ann. de Cryptog. exot., V (1932), pp. 5-15; G. Dalla Fior, Collezioni micologiche dell'abate B. in Italia e all'estero e collezioni estere da lui classificate, in Studi trentini di scienze naturali, XVI (1935), pp. 244 s.; A. Beguinot, in Enciclopedia scientifwa monogr. ital. del XX sec., Milano 1938, pp. 221, 223, 348; Q. Bezzi, Uomini illustri della Val di Sole, Trento 1953, p. 25; g. Cappelletti, Scoprimento di un busto a G. B. in occasione del 25º anniversario della morte nel Famedio di Trento, in Nuovo giorn. botan. Ital., LXI (1954), pp. 395 ss.; Id., Commem. di don G. B., in Natura alpina, V (1954), 4, pp. 4-7; L. Fenaroli, La vita e l'opera scientifica,ibid., pp. 5-15; V. B. Wittrock, Iconogr. bot. bergiana, tav. 123.




Un intera ala del Museo della Civiltà Solandra di Malè (TN) è dedicata all' illustre pioniere della micologia italiana: al suo interno potrete osservare gli oggetti appartenuti al Bresadola.


Pier Antonio Micheli

Nacque a Firenze l’11 Dicembre 1679, da Pier Francesco di Paolo, di professione tintore, e da Maria di Piero Silvestri. Il padre si preoccupò di fornire al figlio un’istruzione di base. Al compimento del quattordicesimo anno il M. fu avviato a un mestiere e mandato a bottega dal libraio O.F. Buonaiuti. Durante l’apprendistato il M. ebbe modo di coltivare la nascente passione per le piante, della cui scienza poté apprendere i rudimenti avvalendosi della lettura dei libri di botanica presenti nella bottega libraria. Avendo conosciuto V. Falugi, abate vallombrosano, il M. se ne accattivò le simpatie, ricevendo incoraggiamenti e nuovi sussidi di opere per approfondire la sua conoscenza. Gravitando attorno all’ ambiente vallombrosano, il M. incontrò due maestri, B. Biagi e B. Tozzi; quest’ultimo, grazie alla sua notorietà in Italia e in Europa, fu determinante per introdurre il M. nell’ ambiente scientifico e culturale fiorentino, in cui trovò potenti protettori in G. Del Papa, F. Buonarroti, A.M. Salvini e soprattutto L. Magalotti, che si adoperò molto in suo favore, introducendolo a corte e presentandolo a Cosimo III. Al granduca il M. dedicò la sua prima opera, il Ristretto del primo volume della Toscana illustrata, rimasta inedita (Firenze, Biblioteca del Dipartimento di botanica dell’Università, Mss., 4).

Fra il 1703 e il 1710 il M. compì numerosi viaggi per conto di Cosimo III: particolarmente avventuroso fu quello nei territori dell’Impero, durato sedici mesi, fra il 1708 e il 1709, con il compito di carpire informazioni sul modo di fabbricazione della latta. Assai proficuo per le conoscenze botaniche e per allacciare rapporti scientifici fuori del Granducato fu invece il viaggio che lo portò a Roma e poi nel Regno di Napoli nel 1710.

Di questi e di altri viaggi si ha memoria grazie alle ventitré relazioni compilate dal M. in un arco cronologico compreso fra il luglio 1704 e l’agosto 1730, raccolte in due codici (ibid., 26-27).

Nel 1716 il M. si fece promotore della Società botanica fiorentina, riuscendo a coinvolgere nell’ iniziativa personaggi di spicco come F. Buonarroti e il senatore C. Cerchi. Due anni più tardi, con motu proprio di Cosimo III, ottenne la gestione del giardino dei semplici di S. Marco. Per quanto il M. in quell’ arco di tempo non avesse dato alle stampe alcuna delle numerose opere che aveva in cantiere, egli godé ugualmente in seno alla comunità italiana ed europea dei botanici di una crescente autorevolezza, garantita dalla generosità con cui dispensava le sue conoscenze e dal costante appoggio offerto da alcuni illustri interlocutori, primo fra tutti l’influente inglese W. Sherard, che ebbe modo di apprezzare i talenti del M. fin dal 1699. Il silenzio fu interrotto nel 1723 con la pubblicazione a Firenze della Relazione dell’erba detta da’ botanici orobanche e volgarmente succiamele e mal d’occhio, che da molti anni in qua si è soprammodo propagata per tutta la Toscana.

Il trattatello godette di una lusinghiera fortuna, sottolineata anche dalle due successive riedizioni, quella napoletana del 1753 e quella fiorentina del 1754, in entrambi i casi abbinato al Ragionamento sopra i mezzi necessari per far rifiorire l’agricoltura di U. Montelatici.

Dal 1724 al 1736 il M. compì nuovamente diversi viaggi per conto del granduca Gian Gastone de’ Medici, volti sostanzialmente ad assicurare il mantenimento e l’ampliamento del giardino dei semplici di S. Marco. Nel 1729, superate numerose difficoltà per reperire i fondi necessari per le spese di pubblicazione, usciva a Firenze l’opera più nota del M.: Nova plantarum genera iuxta Tournefortii methodum disposita, quibus plantae MDCCC recensentur, scilicet fere MCCC nondum observatae, reliquae suis sedibus restitutae.

L’uscita del trattato costituì una autentica svolta nel campo delle indagini sulle crittogame, allora indicate con il termine di plantae imperfectae. Già dal 1710, come si evince dalle testimonianze manoscritte pervenute (Firenze, Biblioteca del Dipartimento di botanica, Mss., 50), il M. aveva deciso di misurarsi con il nodo centrale della questione, ovvero il modo della generazione delle piante imperfette. Nonostante le indagini microscopiche compiute da M. Malpighi, il processo era rimasto per larga parte oscuro e si lamentava per la quasi totalità dei gruppi vegetali il mancato reperimento del seme, dato che rappresentava una vera e propria spina nel fianco per i sostenitori dell’ovismo. Appena agli esordi, il M. poté contare su un lusinghiero successo, grazie alla scoperta del seme in un’alga marina, che fu partecipata a G.G. Zannichelli, il quale ne riferì nel De Myriophyllo Pelagico, aliaque Marina Plantula Anonyma … Epistola (Venezia 1714, pp. 14 s.), attribuendo correttamente al M. la paternità della scoperta. Grazie all’uso degli ingrandimenti microscopici, ma soprattutto mediante l’assunzione piena dell’abito metodologico sotteso alla lezione malpighiana, il M. allestì nel corso di un ventennio un vastissimo archivio di dati, osservazioni ed esperimenti, di cui i Nova plantarum genera costituirono solo una prima approssimazione. L’accoglienza dell’opera fu divisa fra critiche spietate e veri e propri inchini all’ acutezza «lincea» dello sguardo del Micheli. Nel corso del Settecento la sua fortuna fu contrastata: essa in fondo affrontava tematiche, come quella della generazione dei viventi, cruciali per la storia naturale e per la riflessione filosofica e teologica.

Ai Nova plantarum genera il M. aveva in animo di far seguire una seconda parte, ma rivelatosi incapace di sottrarsi alle polemiche sorte a ridosso della pubblicazione del libro, fra cui quella assai vischiosa con G.G. Zannichelli, non riuscì a portare a termine né questo, né alcuno dei numerosi lavori progettati. Tra questi era il trattato dedicato alle piante marine, atteso da molti, incluso lo stesso C. Linneo: ne restano due codici, uno di testo e l’altro con immagini (Firenze, Biblioteca del Dipartimento di botanica dell’Università di Firenze, Mss., 29-30).

Nell’ autunno del 1736 il M. compì un viaggio nel territorio della Repubblica veneta e in particolare sul monte Baldo. Le fatiche sostenute gli risultarono fatali e morì a Firenze il 2 Gennaio. 1737.

Opere: ponderosa la silloge di opere manoscritte lasciate dal M., assai diversificata negli argomenti, diseguale quanto al grado di compiutezza, conservata presso la Biblioteca del Dipartimento di botanica dell’Università di Firenze. Una dettagliata descrizione in I manoscritti di P.A. M. conservati nella Biblioteca botanica dell’Università di Firenze, a cura di S. Ragazzini, Firenze 1993; S. Ragazzini, Per una catalogazione degli scritti inediti di P.A. M., in Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, VIII (1983), pp. 159-172. Diverse opere uscirono postume per le cure dell’allievo G. Targioni Tozzetti: Catalogus plantarum Horti Caesarei Florentini …, Florentiae 1748; dei Nova plantarum genera si dispone di una ristampa anastatica limitata però alla parte micologica, curata dal Gruppo micologico fiorentino «P.A. Micheli» (Firenze 1988); più recentemente è stato edito Le varietà di ulivo dell’agro fiorentino, a cura di E. Baldini - S. Ragazzini, Firenze 1998. Assai vasto è il carteggio: il blocco più consistente è conservato presso la Biblioteca nazionale di Firenze, Fondo Targioni Tozzetti, 89, 95, 125, 135, 139, 161, 162, 177, 178; è stato edito il carteggio con Hermann Boerhaave in H. Boerhaave, Correspondance, a cura di G.A. Lindebom, II, Leiden 1964, pp. 33-77.